GEOGRAFIE

Giacomo accarezzò a lungo la superficie sferica e liscia del suo mappamondo preferito. Era un rituale che gli conciliava il sonno meglio di una camomilla. L’anziano professor Massarin insegnava da trentasei anni nella scuola media di Canegrà del Piave, intitolata a Paolo Boccacin: grande navigatore e fulgido rappresentante canegrino. Giacomo ne condivideva l’avventurosa passione per i viaggi, anche se la sua era sempre stata costretta entro i confini delineati dai suoi mappamondi. Privo dell’intricata immaginazione di Emilio Salgari o d’introiti destinabili a lussuosi vagabondaggi, non gli era rimasto che insegnare storia e geografia ad alcune decine di foruncolosi cuccioli d’uomo.

Una volta, tanto tempo prima, era stato sinceramente convinto di avere una missione: infondere lo spirito di luoghi e popolazioni lontane nelle menti ricettive del futuro, per aprirle alla scoperta del mondo in tutte le sue magnifiche diversità. Romantiche illusioni giovanili che non avevano retto l’urto con i freddi programmi ministeriali e con la sciatta indifferenza dei suoi studenti. Ormai si era arreso alle più sconfortanti evidenze. In fondo, che gli importava se un imbesuito frullato di ormoni e sms s’interrogasse o no sulle miserie e le nobiltà della nostra maltrattata Terra? A tre anni dalla pensione, certe responsabilità le lasciava volentieri ai giovani colleghi pieni di buone volontà. Per quanto lo riguardava, quelle che aveva sotto gli occhi erano le rappresentazioni più fedeli del mondo; proprio perché nemmeno contemplavano la presenza dell’uomo.

«Siamo i parassiti di un organismo che nemmeno ci considera» diceva sempre la povera Ernestina. E se non aver avuto figli per lei era stato il più grosso rimpianto… per lui, oggi, era un inconfessabile sollievo. L’unica cosa che ancora si augurava era visitare le Piramidi prima della loro “riconversione” in un centro commerciale. Acidognolo, Giacomo spense la luce e si avviò verso la camera da letto. Il Preferito respirò.

“Ragazzi! ‘Stasera non finiva più di massaggiarmi l’Asia!” Una serie di risatine gli rispose dall’ombra.

“È un brav’uomo, però!” squittì la vocina acuta del mappamondino/Temperino.

“Spolvera persino me, che sono così piccolo!”

“Sentimentale!” commentò con sufficienza il freddo Hi Teck.

“No, è vero: è una brava persona!” soffiò la voce aerea del Gonfiabile.

E, via via, tutti espressero il loro parere.

Il Ligneo, Grande e Preferito si prese l’ultima parola. “Allora perché non gli facciamo una sorpresa?”

“Sì, sì, dài!”

“Quale quale quale?”

“Sorpresa come?”

(Sono giocherelloni, i mappamondi. Eccitabili come bambini!…)

“Diamogli un argomento di cui parlare ai suoi studenti!” spiegò, insinuante, il Preferito. “Pensate… domani, il professore entra in classe e fa: “Ragazzi, è incredibile! I miei mappamondi si sono scambiati i continenti!”

“Eh?!”

“Cosa-cosa?”

“Come-come?”

“Sei matto?!”

“I continenti??”

“Che significa?”

E i commenti infittirono fino a sciogliersi, uno alla volta, in una serie di risate sempre più incuriosite e possibiliste.

“Ti pare saggio?” domandò pensosamente il mappamondo Anziano.

“Non è saggio: è uno scherzo! Solo per domani… poi possiamo sempre tornare come prima, no?… Su, dài! Divertiamoci un po’!”

L’Anziano scosse la terra, perplesso. Ma ormai lo scherzo aveva preso vita propria e i mappamondi iniziarono a mettere in atto il piano.

“Cedo l’Oceania per due Afriche!”

“Che me ne faccio di quattro Asie?!”

“Chi prende mezza Europa in cambio dell’Alaska?”

“Non fare il furbo! Ti pare conveniente?”

“Posso avere un pezzo di Giappone e un quarto d’Italia?”

“Io non mi mischio con nessuno! Faccio tutto da solo!”

“Autarchico!”

E continuarono così per tutta la notte. Ridacchiando, contrattando e persino litigando un po’. Hi Teck voleva l’America da tutti, il Mistico Aereo non mollava l’India. Il Temperino (date le sue ridotte dimensioni) si accontentava delle nazioni più rappresentative, qualcuno voleva rivoluzionare tutti i confini e l’Anziano boicottava sotterraneamente qualunque trattativa. Insomma, la solita Babele. Finché arrivarono al nuovo assetto mondiale che metteva (più o meno) tutti d’accordo. Era già quasi l’ora in cui il professore sarebbe entrato per avvicinarsi alla scrivania a prendere il suo carico di libri.

E allora avrebbe visto.

Giacomo spalancò gli occhi al roco trillo della vecchia sveglia e la sua mano brancolante corse ai ripari. Mai si sarebbe abituato allo scompiglio che metteva fine ai suoi sonni di piombo ma, sapendo che nessuna conciliante musichetta sarebbe stata altrettanto efficace, ogni santa mattina malediva la sgarbata urlatrice. Un brivido di freddo lo accolse fuori delle coperte. Indizio d’influenza, certamente: il giorno prima faceva già quasi caldo! Infilò la sbrindellata vestaglia e, dopo essere passato a svuotarsi la vescica sonnolenta, ciabattò verso la cucina. Era ancora buio, ma non accese la luce: odiava pensare che fosse così presto da doversene servire. Con gesti meccanici mise la caffettiera sul fuoco, si accomodò sulla sedia e, con la fronte tra le mani, rimase in attesa del confortante borbottio. Appena pronto il caffé, se lo versò in una grossa tazza insieme a un’equa dose di latte, ed aprì una nuova confezione dei suoi biscotti preferiti. Burro e uova: alla faccia del colesterolo e del suo medico troppo protettivo. Infine, come faceva sempre, con la tazza in una mano e un biscotto nell’altra, si accostò lentamente alla finestra. Non abbassava mai le tapparelle, in cucina: gli piaceva avere la visione immediata del mattino che si destava.

L’alba (almeno lei) gli sembrava sempre diversa. E quella aveva una sfumatura molto speciale.

Il suo sguardo abbracciò con orgoglio il piccolo giardino ben curato. Percorse il vialetto ghiaioso fiancheggiato dai cespugli di ortensie, volteggiò sulla panchina che riposava sotto la chioma del noce. Poi, soddisfatto, proseguì verso la cancellata su cui si arrampicava il gelsomino gravido di fiorellini minuscoli. E qui si fermò. O, meglio, andò oltre e tornò rapidamente sui suoi passi.

“Sto ancora sognando…” si disse prima di venir risucchiato nella terra sconfinata di uno stupore cosmico.

Le sue pupille dilatate rimbalzarono oltre la cancellata. Ciò che inviarono al cervello spedì un biscotto appena inzuppato nel latte a spalmarsi sul pavimento: la strada, i fossi ai lati, il vecchio mulino e la staccionata che delimitava la proprietà dei vicini non c’erano più. Al loro posto era una landa sconfinata di ghiacci. Un’enorme, mostruosa, livida, piatta, spianata luccicante di cui non si vedeva la fine. Prima di raggiungere il biscotto spalmato sul pavimento, il professor Giacomo Massarin ebbe il tempo di passare in rassegna le nozioni profuse per trentasei anni. Ma se fosse un pezzo di Alaska o di Groenlandia, quello che uno spaventoso cataclisma climatico gli aveva portato sotto casa, che differenza faceva? La slitta scivolò morbidamente sui ghiacci, disegnando sulla bianca distesa i lunghi solchi sinuosi delle lame. La sua corsa rallentò bruscamente, per finire nel caratteristico zigzagare imbizzarrito di un mezzo privo di guida. L’autista intabarrato aveva perso i sensi nell’esatto momento in cui i suoi occhi sbarrati avevano messo a fuoco la cancellata che delimitava un delizioso giardino primaverile.

Il poveretto, le cui curiosità e cognizioni spaziavano in un ambito piuttosto ristretto, ebbe appena il tempo di pensare a due alternative: o stava entrando senza saperlo nella terra dei morti o la sera prima aveva valicato il suo limite personale di resistenza all’alcool.

Entrambi (l’uomo di cultura e l’uomo dei ghiacci) non potevano immaginare che, a volte, i mappamondi sono giocherelloni e imprudenti come bambini.

 

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